| Altre riflessioni che derivano dalla lettura di questa storia vertono tutte sul realismo di cui si permea la stessa. Non c’è spazio per il lieto fine, per le situazioni accomodanti…
Prendete il personaggio di Desirèe: è caratterizzato e reso come neanche Morales…. Questa è letteralmente una “sopravvissuta”. Un personaggio che precipita nell’inferno che in passato aveva solo teorizzato nei suoi studi, all’interno del quale riesce, per disperazione e spirito di sopravvivenza, a tirare fuori il meglio di se (convincenti le affermazioni improvvisate ad un passo dalla ghigliottina, ingegnosa nel guadagnare tempo col carnefice ritagliandosi poi un abito funzionale allo scopo) e il peggio (l’uso delle droghe per fuggire nell’oblio, uccidere per sopravvivere). Senza contare che, nonostante l’amore e l’affetto che prova per MJ, nemmeno per un istante lascia intendere, come invece la madre, di seguirlo nella sua follia. Un personaggio per il quale ho empatizzato molto. Ma anche per il personaggio di MJ, altra vittima di tutta questa vicenda, che a differenza di Desirèe vede un’occasione di rinascita, una via di fuga al suo male di vivere. Per arrivare al finale, con questo struggente scambio epistolare a senso unico nel quale, emulando Dylan Dog, il detective dell’impossibile “post litteram” mette al corrente una fiera e passiva madre sia della vita comune che delle gesta epiche dello stesso. Perché questo….è IL FIGLIO NATURALE DI MARTIN MYSTERE. Il realismo….Se si fosse tornati sulla questione della paternità, se la madre avesse convinto il figlio a tornare, se Desirèee l’avesse seguito all’inferno….allora avrei bollato la storia come stronzata, e avrei accusato l’autore di mancanza di coraggio. Invece vedo coerenza, vedo un autore che si cala nel contesto di quel dramma e non fa sconti a nessuno. Per quanto riguarda Charlier, che ho rivisto con piacere, sono contento che è stato centellinato e ha assolto al suo ruolo minimale (ma essenziale), agevolando Martin grazie al suo ruolo. Perché, se si fosse andati oltre l’omaggio funzionale, ne sarebbe nata la solita storia autoreferenziale, con l’abuso di citazioni e omaggi tipici dei team up che avrebbero depotenziato lo spessore di un racconto “fresco” che cammina esclusivamente sulle sue gambe (senza marchette).
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