Bene, abbiam cose di cui parlare senza andare OT perche' questo argomento é base sia della scuola occidentale che orientale - non disconosciuta dalla magia del caos.
CITAZIONE (devero @ 10/5/2019, 11:21)
Chiedi di mostrarti una persona felice: il più delle volte ti mostreranno bambini, e più sono piccoli, maggiore è il tempo in cui sono felici.
Verissimo, non sei ne' il primo ne' l'unico a notare questo, devero.
Torniamo a quello che dicevo ieri sul desiderio.
Il desiderio nasce quando siamo bambini. Non desidero = la mente non va in agitazione perche' deve soddisfare le sue (autogenerate) richieste, e siamo felici.
Quindi piú piccolo il bambino piú felice é.
Come si genera il desiderio? Inizialmente da poppanti proviamo tutto coi 5 sensi. Mordicchiamo tutto a scoprire com'é fatto (primo senso che sviluppiamo é il gusto), poi vediamo tutto, quindi sentiamo tutto e cosí via e
lo cataloghiamo.
Come lo cataloga la nostra mente semplice di bimbo? Fondamentalmente in due classi, quello che ci piace (mangiare, sentire, vedere, toccare ecc) e quello no.
Il primo tipo di esperienze le vogliamo ripetere (all'infinito come fanno gli infanti, poi crescendo diminuiamo le ripetizioni perché cresce la memoria delle esperienze passate), le altre le voglio evitare. Crescendo il desiderio diventa piú complesso, e se oggi - per dire - io adulto ho voglia di una bella pizza, domani vorró lo stesso ma con la birra e poi ancora la compagnia della mia amica preferita e poi cosí crescendo.
Ma tornando alle origini delle nostre sofferenze, c'é una fase da piccoli in cui diciamo sempre no. Perche'? Perché nella nostra mente si é formato il desiderio di cambiare le cose come stanno ed incominciamo ad esprimerlo. In modo infantile e capriccioso, ovviamente, per esempio se una penna é in posizione X sul tavolo, la spostiamo di 2-3 centimetri e siamo felici (= fine desiderio, l'universo ci sembra a posto).
CITAZIONE (devero @ 10/5/2019, 11:21)
Ah beh, con me la definizione di felicità è "semplice" ma difficilmente esprimibile.
Io assimilo questa emozione all'ebetismo, e pertanto io non voglio essere felice e ho sempre considerato assurdo cercare di essere felici. Io voglio essere consapevole, non felice (o ebete, che per me è praticamente un sinonimo).
Ok, i bimbi sono creature molto diverse da noi, ma ci sono due elementi importanti in quel che dici:
a) Felicitá difficilmente esprimibile
b) Voglio essere consapevole.
La nostra mente cataloga ed etichetta tutto, ma ci sono molti eventi e processi che non sono etichettabili. Un facile esempio é:
il profumo di una rosa.
Sicuramente conosci l'esperienza, l'hai vissuta piú volte, la puoi richiamare alla mente ma non la puoi descrivere.
Noi viviamo gran parte della nostra vita in modo non consapevole, da bambino come da adulto. Una delle ragioni é che gran parte del bagaglio di esperienze che accumuliamo é incosciente, nel senso che é istantaneamente rimosso dalla coscienza, nel tentativo di eliminare le sensazioni dolorose connesse alle varie esperienze (ci sarebbe da dire di piú, ma limitiamoci a questo, so di aver fatto sul punto una trattazione insufficiente perche' parziale ma oltre al momento non si puó dire).
Un altro esempio correlato riguarda le esperienze di chi é stato vicinissimo alla morte (incidente di macchina ecc.) e sono sopravissuti. Molti di questi ti diranno di non aver provato niente, nonostante siano poi rimaste per mesi od anni in un letto d'ospedale. Questo perche' nel nostro corpo non ci sono gangli nervosi deputati al dolore, ma é la nostra mente che identifica in dolore (=esperienza da rifiutare) quello che non le piace. Le esperienze molto al di lá della nostra normale esperienza come gli incidenti di cui riferisco, ebbene la nostra mente non é abituata ad affrontare, e quindi in quelle situazioni non sentiamo dolore, o alcuna sensazione in genere, perché come da molti piccoli la nostra mente non sa che fare.
Ma allora, come faccio a portarmi in una situazione simile nella vita di tutti i giorni, cioé di consapevolezza continua priva di dolori?
Ci sono diverse tecniche. Il Buddha storico ad esempio nel suo sermone "
Satipatthana sutra", che é l'architrave della scuola theraveda, da' ai suoi monaci l'indicazione teorica di come fare a raggiungere tale stadio, quello di sat-chit-ananda (tradotto dal sanscrito Essenza Consapevolezza Beatitudine), che é la vera pace profonda e la vera felicitá.
Questa scuola ha diverse tecniche come la Vipassana che possono essere utili a molti.
CITAZIONE (devero @ 10/5/2019, 11:21)
Al massimo vorrei di tanto in tanto qualche piccola soddisfazione (oohh yeahhhh, Vasco docet) ma questa è tutt'altro che la felicità.
Temo che soddisfazione sia sinonimo di desiderio.