| Le super-formiche invadono l'Europa! A lanciare l'allarme è La Repubblica; per fortuna, prima di essere sbranati dagli instancabili (e da oggi resistenti) insettini, abbiamo il tempo di leggere l'articolo: CITAZIONE Le super formiche invadono l'Europa Allarme in Gran Bretagna per la diffusione di una nuova specie euroasiatica, particolarmente coriacea al nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
LONDRA - Anche le formiche, nel loro piccolo, possono fare dei danni. Specie se sono tante. E in particolare se sono cento volte più numerose del normale. La nazione che ha resistito al "blitz" di Hitler, il popolo simboleggiato dallo "stiff upper lip", capace di stringere i denti e comportarsi come nulla fosse in qualsiasi frangente, trema davanti alla minaccia di un'invasione da parte di una specie aliena. Ha un nome indigesto, tanto per cominciare: Lasius neglectus. E si cela scaltramente, come i mostri più pericolosi, sotto sembianze in apparenza innocue: ha lo stesso aspetto, infatti, della comunissima formica nera.
Eppure è una "super ant", si allarma il Daily Telegraph di Londra: una super formica, in grado di provocare disastri nel luogo più amato dai sudditi di sua Maestà britannica. No, non al pub, bensì nei giardini. I magnifici giardini inglesi, da Kensington Garden al pezzetto di terra nel cortile di casa, dove si coltiva la passione per il "pollice verde". L'invasione delle formiche straniere, scrive il quotidiano londinese, potrebbe risultare una rovina per prati, aiuole e piante.
Non solo: il loro sbarco nel Regno Unito rischia di spazzare via le formiche inglesi, il cui danno al giardinaggio è in proporzione assai minore. Da dove venga esattamente, il famelico esercito di minuscoli forestieri, non è chiaro. Secondo una ricerca finanziata dall'Unione Europea e pubblicata dalla rivista scientifica online Bcm Biology, si tratta di una specie euroasiatica, originaria della regione del mar Nero. I primi esemplari sono stati individuati nel 1990 a Budapest: da allora, il Lasius Neglectus ha marciato trionfalmente attraverso l'Europa, fino ad arrivare al canale della Manica e ad attraversarlo, minacciando anche la verde Inghilterra. I
ricercatori hanno localizzato colonie di "super formiche" in quattordici località da un capo all'altro d'Europa, da Varsavia in Polonia sino a Bayramic in Turchia, così come in Belgio, Francia, Spagna, Germania e anche in Italia. La diffusione iniziale è probabilmente imputabile a un'involontaria introduzione da parte dell'uomo, che magari l'ha portata con sé, dentro uno zaino o a bordo di un'automobile, di ritorno da un viaggio nel mar Nero.
Ed è verosimile che in modo analogo, sfruttando un "passaggio", la micidiale formichina sia arrivata in Gran Bretagna - non risultando tra i suoi superpoteri anche quello di nuotare. Di poteri particolari, scherzi a parte, ne ha in abbondanza. Prospera in ambienti urbani, anziché in habitat naturali. Tende ad essere molto aggressiva nei confronti delle specie native, sterminando gli insetti e perfino i ragni che incontra sul suo cammino. Riesce a sopravvivere sottozero perciò il suo raggio d'azione potrebbe potenzialmente estendersi dal Giappone fino alle Highlands della Scozia. Crea formicai da dieci a cento volte più grandi della norma: la regina, che non può volare, resta sempre sottoterra, dove intrattiene una vorace vita sessuale. È un tipaccio, insomma, in cui sarebbe consigliabile non imbattersi.
L'Europa, conclude il rapporto dei ricercatori, è stata attraversata altre volte da insetti invasivi di ogni genere, ma a quanto pare mai da una specie pestifera come questa. "L'Inghilterra vince sempre almeno una battaglia", sosteneva Churchill: "l'ultima". Vedremo se vincerà anche questa, e se così facendo salverà l'Europa. Nel frattempo, se incontrate Lasius Neglectus, occhio ai fiori sul davanzale.
(4 dicembre 2008) Rimaniamo nell'ambito di animali "nuovi", con la finora inedita specie di pterodattilo ritrovato in Brasile: CITAZIONE il più grande mai scoperto, vissuto circa 115 milioni di anni fa Il dinosauro volante dei laghi Ritrovati in Brasile i resti fossili di una nuova specie di pterosauro Chaoyangopteridae
Era un «vagabondo dei laghi» (un Lacusovagus, come è stato battezzato) il dinosauro riconosciuto dal paleontologo inglese Mark Witton nei resti fossili di una porzione di teschio ritrovati in Brasile anni fa e conservati fino a questo momento in un museo tedesco.
MISURE RECORD – L'esemplare di rettile volante analizzato da Witton può essere considerato il più grande esemplare di pterosauro Chaoyangopteridae mai ritrovato ed è il primo identificato al di fuori della Cina, dove – nel Cretaceo inferiore – vivevano i dinosauri della stessa famiglia. La sua apertura alare era di 5 metri, era alto più di un metro e volava nei cieli brasiliani 115 milioni di anni fa. Come raccontato dal ricercatore, «alcuni tra gli esemplari precedentemente rinvenuti in Cina erano lunghi non più di 60 centimetri», ossia tanto quanto il solo teschio della specie appena scoperta.
ANCORA TANTO DA SCOPRIRE – Il fatto che il Lacusovagus sia stato ritrovato in Brasile «la dice lunga su quanto ancora ci sia da scoprire e comprendere sulla distribuzione e sull'evoluzione di questo gruppo di creature», ha detto ancora Witton, spiegando inoltre che i resti fossili dello pterosauro brasiliano sono molto frammentari. Lo scienziato dovrà quindi analizzare altri campioni prima di poter ricostruire le abitudini di vita dell'esemplare in questione.
Alessandra Carboni 04 dicembre 2008 La fonte è il Corriere della Sera; e sempre il Corriere riporta (in verità già da un po' di giorni) la notizia di una squisita birra creata nientemeno che..nello spazio! CITAZIONE Sono staTI REALIZZATI SOLO 100 LITRI INVECE DEI 630 PREVISTI IN PRECEDENZA In Giappone è arrivata la birra spaziale E' la prima produzione ottenuta con piante di orzo coltivate sulla Stazione spaziale internazionale
TOKYO - È fissata per l'inizio dell'anno nuovo in Giappone la degustazione della prima "birra spaziale", cioè ottenuta utilizzando piante di orzo cresciute sulla Stazione Spaziale Internazionale. Per l'occasione il gigante nipponico degli alcolici, Sapporo Breweries, inviterà 30 coppie - già selezionate tramite estrazione a sorte - ad assaggiare la nuova bevanda presso i suoi sei stabilimenti sparsi nel Paese.
CENTO LITRI - Il produttore giapponese è riuscito a ricavare solo 100 litri della particolare qualità "Sapporo Space Barley" - che non è in vendita -, una quota decisamente inferiore ai 630 litri previsti in precedenza. Dai test effettuati nel 2006 nel modulo russo della Stazione Spaziale Internazionale, in uno studio in collaborazione con l'università di Okayama (Giappone occidentale) e l'Accademia delle Scienze, è emerso che l'orzo in questione può crescere in tale ambiente esattamente come avviene sulla terra. Una volta tornati sulla superficie terrestre, i semi sono stati coltivati congiuntamente dall'università di Okayama e dal produttore Sapporo.
02 dicembre 2008 Per finire con il Corriere, vi invitiamo a visitare la Disneyland del cambiamento climatico:tema che ogni mysteriano, e non solo, dovrebbe avere a cuore. Rimaniamo in tema ecologico:se siete piromani, fareste bene a smettere. Non solo per ovvi motivi etici e ambientali, ma perchè non avete più scampo! Infatti, come riporta La Stampa, un uomo è sulle vostre tracce: CITAZIONE Io, un Ris per gli alberi Lo scienziato che dà la caccia ai killer delle piante: "Sconfitti grazie al Dna" ALESSANDRO MONDO
TORINO E’ l’uomo che dà la caccia ai killer di alberi e piante. Si chiama Giovanni Nicolotti, serissimo professore universitario di 46 anni che parla come un carabiniere del Ris: «Come faccio? Con l’analisi del Dna. La stessa che la Scientifica utilizza per risalire da un mozzicone di sigaretta all’identità di chi l’ha tenuto fra le labbra».
E così facendo, di analisi in analisi, ha scovato il modo di incastrare i suoi nemici di sempre. Con i colleghi del Dipartimento di valorizzazione e protezione delle risorse agroforestali, Università di Torino, ha messo a punto una tenica infallibile che ricalca quelle di diagnosi precoce dei tumori già adottate in Medicina, basate sul rilevamento dei marcatori tumorali nel sangue. Ora verrà utilizzata dal Comune di Torino per salvare gli alberi che decorano e ombreggiano la città.
I loro avversari hanno nomi inquietanti, da sicari di professione. Quel che è peggio, mantengono le promesse giustiziando a colpo sicuro le loro vittime. Non subito ma nel corso degli anni, fino a quando i colossi che decorano e ombreggiano le nostre città cedono di schianto. Sono i funghi che attentano alla salute degli alberi e alla nostra sicurezza. Killer autoctoni. Più spesso importati da Paesi lontani, con una crescita esponenziale negli ultimi tempi. Ogni anno in Europa vengono introdotte 17 nuove specie di parassiti, solo trent’anni fa il numero era inferiore a otto. Da qui l’attenzione degli esperti, impegnati non tanto a curare nemici che raramente lasciano scampo ma a diagnosticarli quando le piante sono asintomatiche: apparentemente rigogliose ma bacate come una mela.
Non è un caso se l’ultima frontiera della prevenzione parte da Torino, abituata a fronteggiare con tecniche innovative le problematiche di un patrimonio arboreo imponente alle prese con un ecosistema urbano sempre meno favorevole. «Un problema vissuto da altre grandi città - premette l’assessore Roberto Tricarico (Verde pubblico) -. Ma questa volta è Torino a fare da apripista nel campo della ricerca applicata». La volontà di studiare una strategia preventiva, nata sei anni fa su impulso del Comune, si è concretizzata in un metodo senza precedenti che ha visto lavorare in squadra l’Università di Torino con quella di Berkeley, in California. Sei anni e 600 mila euro dopo, finanziati sul versante italiano da Comune ed Università, l’obiettivo è stato centrato.
Nicolotti, con i colleghi Paolo Gonthier e Fabio Guglielmo, ha puntato sull’analisi e sulla comparazione dei Dna. «Il lavoro più lungo è stato caratterizzare il Dna di 20 specie di funghi, alcune delle quali molto aggressive - spiega il professore, un po’ impacciato all’idea di essere considerato un «acchiappa-killer» -. Quando abbiamo il sospetto che un albero sia sotto attacco, preleviamo un campione di legno e lo facciamo reagire con le sequenze molecolari che abbiamo caratterizzato». La premessa è che in quel frammento può concentrarsi il Dna di svariate specie di funghi. Qual è il nemico? La risposta arriva da una serie di complicate reazioni chimiche. In sintesi, i due Dna dello stesso fungo, quello decifrato in laboratorio e quello contenuto nel campione, si riconoscono e si agganciano a vicenda, avvitandosi in un’unica «elica».
E’ la prova del nove per dare un nome all’avversario ed inchiodarlo alle sue responsabilità. «Di sicuro il nuovo metodo rappresenta un valore aggiunto rispetto alle tecniche di indagine tradizionali», spiega Gabriele Bovo, dirigente del Verde pubblico.
Giovanni Nicolotti Classe 1962, laurea in Scienze forestali a Torino, professore universitario, Giovanni Nicolotti è specializzato nelle studio delle infezioni che colpiscono alberi e piante. I suoi ultimi lavori riguardano la biologia e l’ecologia dei funghi agenti di carie. Sempre de "La Stampa", vi consiglio (non per motivi personali) di non perdere l'allegato settimanale TuttoScienze, con notizie riguardanti il mondo che ci circonda interessanti anche per noi. Un esempio? La rubrica "Misteri", dedicata questa settimana alla famosa "mummia delle Alpi" Oetzi. Dal Messaggero arriva una brutta notizia: CITAZIONE E' morto Henry Gustav Molaison l'uomo senza memoria
NEW YORK (5 dicembre) - Dal 1953 era diventato per tutti l'uomo senza memoria: un caso da manuale di neurologia. Henry Gustav Molaison è morto oggi in una casa di riposo del Connecticut, negli Stati Uniti. Aveva 82 anni.
L'«amnesia profonda», così l'hanno definita gli specialisti, è sopraggiunta in seguito a un intervento chirurgico a cui l'uomo si era sottoposto per correggere un disturbo cerebrale. Incapace da allora di formare nuova memoria, l'uomo ha conservato solo ricordi lontani e rarefatti: il crollo del'29, la Seconda Guerra mondiale, la nazionalità irlandese della madre. Dal momento dell'intervento Molaison ha vissuto come se ogni giorno fosse una novità: «Riusciva a conservare ricordi per circa 20 secondi, mantenerli per un periodo più lungo gli era però impossibile senza l'ippocampo su cui anni prima era stato effettuato l'intervento», ha raccontato Brenda Milner, una psicologa della McGill University di Montreal che aveva preso in cura Molaison. Dal passato, tal volta, emergeva qualche frammento: «Tutte memorie prive di sequenzialità, ricordi che non riusciva a inserire in una narrazione», ha commentato la dottoressa Corkin di Mit.
Il «caso Molaison» è stato al centro di innumerevoli studi: dalle dinamiche biologiche dell'apprendimento alla natura dell'identità personale. La morte di H.M. è stata confermata da Suzanne Corkin, la scienziata del Massachusetts Institute of Technology che per decenni aveva lavorato al caso e adesso ha ordinato di conservarne il cervello per studi futuri.
«La perdita della memoria lo ha reso indimenticabile» ha scritto il New York Times a proposito del paziente più famoso della neurologia. Per distrarsi un po', niente di meglio di un bel giro al Museo di Memphis (non quella di Elvis!). E per oggi è tutto!
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